domenica 13 novembre 2016

Recensione " Là dove finisce il mare e comincia l'orizzonte" di Erika Stellitano



Come ben sapete sono decisamente titubante quando mi accingo a leggere dei romanzi di autrici emergenti italiane. A dire il vero ho proprio una diffidenza verso la letteratura contemporanea made in Italy. Si lo confesso sono un esterofila convinta, una becera traditrice della patria. Reputo che in termini di creatività e di stile l’estero, Americani e inglesi in testa, ci battono nettamente. Non c’è partita.  Noi siamo cosi tronfi e estremamente orgogliosi di un indubbio passato letterario glorioso da crogiolarci su questi antichi splendori, tanto che ogni prodotto viene spacciato per autentica qualità italiana. Avrei molto da dire su codesto punto, ma non è il luogo e la sede adatta.
Sarà il mio karma positivo o un indiscusso colpo di fortuna, o la benevolenza del Dio Bragi, o una tenace volontà di cercare incessantemente la bellezza, mi sto trovando tra le mani incredibili testi. E tutti italiani. Per caso avete iniziato a nutrirvi di pane e Balzac?
Quello che mi accingo a analizzare non è, come mi è stato presentato un romanzo rosa, ma è un piccolo capolavoro filosofico introspettivo, dai marcati tratti di narrativa di formazione. Ed è per questa sua complessità stilistica, di linguaggio e di trama che rappresenta un’ oggettiva innovazione in questo mondo spesso contorto e banale che è il mondo delle emergenti.
Creare un testo che richiami echi di scrittori del passato di indubbio valore, ma soprattutto dotati di una notevole enfasi lirico-poetica non è da tutti. E Erika Stellittano si merita di entrare a pieno titolo nella top ten dei libri di letteratura.
Mi spiego. Per quanto un rosa o romance come amate definirlo, sia un genere che non disdegno e può essere strutturato in maniera elegante e intensa, creare opere di letteratura è tutt’altra cosa. Significa usare precise forme linguistiche, precise tecniche narrative e perché no anche l’uso di  figure retoriche atte a dare corpo e senso al testo.  La narrativa classica di formazione è questa, un genere che ambisce a esplorare i meandri della psiche umana, dando materia alle emozioni e rendendole quasi vive, reali personificate in elementi naturali, in frasi che contengano in se una corporeità che le distingua da mere emozionalità irreali e evanescenti. Significa che nel parlare di un percorso evolutivo interiore, questo assuma una materia, diventi quasi fisico e tangibile, tanto da avvolgere il lettore in una sensazione che può quasi toccare. Partito con il preciso  scopo di promuovere l’integrazione sociale del protagonista (ricordo che fu un romanzo tipico dell’ottocento, momento storico molto complicato e molto elitario) raccontava il passaggio da soggetto alienato e deviante da una persona in grado di ritagliarsi un ruolo preciso e utile nella società grazie alla presa di coscienza di se stesso e dei suoi talenti. Soltanto con il tempo si arricchì di elementi emozionali, della capacità di indagare sensazioni, sentimenti progetti e azioni.
Erika unisce il vecchio e il nuovo, creando un mosaico in cui convivono perfettamente le due anime fondamentali del romanzo di formazione. I suoi protagonisti sono, infatti, alienati. Non si riconoscono nella realtà di ogni giorno, la rifiutano e non la comprendono, spesso fuggendo da essa poiché percepita come ostile. E un libro a metà tra i dolori del giovane Werther di Goethe in cui si narra l’incapacità di vivere e il favoloso racconto di Italo Svevo con la coscienza di Zeno, in cui proprio dall’incapacità di vivere e dallo sviluppo del pensiero portano il protagonista a percorrere una personale autoanalisi:

Mi era servito del tempo per capire che quella strana e fastidiosa sensazione di incompiutezza con la quale convivevo forse ormai da sempre, era il sintomo di un vuoto, di una mancanza, che dovevo ad ogni costo colmare: l’assenza di me. Probabilmente non mi ero mai reso conto che nella mia vita avevo visto, incontrato, conosciuto, se pur superficialmente, migliaia di volti, di nomi, di persone, ma mai me stesso. Sembrava paradossale, utopico, irreale, eppure io mi ero completamente estraneo, quasi come se nel mio io più profondo, ci fosse un altro ipotetico me stesso del tutto sconosciuto, del quale, forse, avevo sempre avvertito la presenza. Ora però era tutto diverso, non potevo più ignorarlo, non potevo fingere di non sapere, perché così facendo avrei soltanto continuato a prendere in giro me stesso”
Si tratta di una “finta storia d’amore” dove il poetico racconto di un sentimento serve soltanto come pretesto per raccontare altro, come se il rapporto che non si realizza concretamente, restando nel mero campo delle ipotesi e delle illusioni ( preponderante l’elemento del se, splendidamente raccontato come possibilità eterna perché non realizzatasi) facesse da “overture” alla mancanza di coraggio che si ha nell’affrontare spesso non tanto la vita, quanto l’immagine vita che i nostri occhi e le nostre aspettative costruiscono:

“Nessuno ci delude. Siamo noi che diamo agli altri la possibilità di deluderci riponendo in loro delle aspettative che finiscono per rivelarsi delle illusioni e per essere puntualmente disattese. Costruiamo su di loro un’immagine che non gli appartiene, che non è loro, ma che vogliamo vedere ad ogni costo, perché è ciò che vorremmo realmente, è ciò che stiamo cercando per noi. Così, del tutto automaticamente, crediamo di vedere in loro ciò che desideriamo. Quasi ce lo imponiamo e così puntualmente finiamo per essere delusi. Ma non da loro…da noi stessi, dalle nostre aspettative”

L’amore nell’ottica della Stellittano, diventa non un sentimento romantico e idilliaco ma una lente di ingrandimento focalizzata sull’osservazione del più strano e misterioso dei fenomeni: l’uomo stesso. Come se innamorarsi e soffrire sia uno dei mezzi con cui iniziamo la conoscenza del nostro io, per indagarsi e indagare come noi stessi descriviamo, interpretiamo l’esistenza. E l’esistenza si prospetta cosi intricata, cosi variegata da lasciarci stupefatti, attoniti e meravigliati ma profondamente vivi, attoniti davanti alle innumerevoli strade da percorrere, dai bivi a volte tortuosi dalle rapide discese e sublimi risalite, al vuoto che la perdita del ricordo, marchio di identità di ognuno di noi rischia di lasciare nel nostro animo. L’amore, racchiuso in un nome in un’idea, è il segno che accarezza l’anima, che la sprona a provare, a pensare e in fondo a credere nella bellezza e nella magia di un mondo che non è solo quello reale e tangibile, ma che si manifesta nei sogni nel lampo creativo, nella nostra voglia di sacro. Una vita ricca si di amarezza perdita ma anche si possibilità, di vizi e virtù e perché no di follia anche nelle scelte più atroci che, hanno e avranno sempre un senso.
Ed è davanti all’orizzonte che si incontra su un’immensa distesa d’acqua, il mare, perfetto simbolo non soltanto di rinascita ma anche di inconscio che il protagonista trova davvero le risposte che cerca, il senso del suo vagare, la forza straordinaria della sua bizzarra scelta. Con un racconto nel racconto di una poeticità che mi ha dato i brividi ( che non posso svelarvi per non togliervi il gusto di assaporarne la magia) che il lettore, oramai immedesimatosi totalmente nel testo, capirà davvero il senso profondo del bellissimo titolo del libro ma, soprattutto, comprenderà il senso che la Stellitano ha dell’esistenza stessa; non serve che le sensazioni, che l’amore e le sua emozioni si concretizzino davvero; serve semplicemente vivere:

Bisognava solo avere il coraggio di intraprendere un cammino e vivere. Nient’altro che questo.

Melodico, armonioso come una sinfonia classica, con un tocco di dolcezza e disperazione ( associo il libro alla bellissima sinfonia della patetica di TChaikovsky) con quel tocco di delicatezza tutto femminile che la discosta dalla disperazione senza via d’uscita dei grandi scrittori del passato,(non ha la cupezza assoluta del Foscolo nelle ultime lettere di Jacopo Ortis per intenderci). Consiglio vivamente questo romanzo a tutti coloro che bramano si un libro in grado di dare brividi di appassionare, ma che soprattutto lasci un segno in noi stessi, capace di farci guardare gli scenari del nostro vivere, con altri occhi e altre prospettive.

Alessandra

Voto 5/5


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