Un libro delicato e a tratti tragico quello della
Conte. Tragico perchè affronta in modo pulito, semplice e intenso le carenze
del nostro sistema scolastico nei confronti di una sindrome la dislessia
curabile e gestibile, che in altri paesi non rappresenta un ostacolo.
La dislessia non è molto conosciuta. Ed è proprio
quell'alone di mistero, quella sua incomprensibile natura che la rende
spaventosa. Come se il nominare le cose senza comprenderle appieno non servisse
altro che a avvolgere le stesse nei fumi del pregiudizio e dello stereotipo.
Chi è dislessico non è poco intelligente. Questo perché la dislessia non è un
deficit intellettivo o mentale ma è un disturbo, una distorsione della capacità
di apprendimento riguardante la capacità di leggere, scrivere e calcolare in
modo “corretto” o forse più precisamente nel modo che, la collettività ha
decodificato come corretto. Il
dislessico è pertanto considerato svogliato, apatico e poco interessato, tutti
aggettivi che ingabbiano invece un intelligenza spiccata e spesso intuitiva
molto diversa forse dalla maggior parte dei ragazzi o bambini.
Il dislessico non ha, dunque problemi cognitivi o
legati alla comprensione o allo studio. Hanno semplicemente un cervello
sintonizzato su altre frequenze. E siamo noi genitori, insegnanti e educatori a
dover adattare i metodi di apprendimento alle peculiarità dell'alunno.
Ed è il dramma che sommerge la mamma della piccola
Veronica, la bimba protagonista di questo racconto autobiografico, un racconto
che sconvolge per l’incapacità del sistema scolastico di aiutare e integrare la
bimba. Veronica rappresenterà per molte maestra, un problema in grado di
mettere in rilievo le incongruenze e le fragilità del sistema educativo o verrà
usata come arma tra le piccole, viscide diatribe di potere all’interno
dell’istituto scolastico. Ma non verrà mai valorizzata se non dopo danni
rilevanti nell’autostima, danni che soltanto grazie a una famiglia unita,
speciale nella sua semplicità potranno essere forse limitati. Ed eccoci di
nuovo a fare i conti con il vero dramma: la diversità. Nella nostra società la
diversità fa terrore. Non un terrore normale, quello che si avverte davanti
alla presa di coscienza della responsabilità, ma un terrore ignoto, strisciante
di chi si trova a dover rimettere in discussione se stessi davanti al nuovo. E
la dislessia è uno di quei casi in cui bisogna avere la necessaria preparazione
si ma direi elasticità mentale e di apprendimento per poterlo affrontare, per
poterlo non combattere ma per poterci convivere al meglio soprattutto per il
bambino. In un modo stereotipato, in cui l’entusiasmo dell’insegnamento è
oramai un miraggio, trovarsi di fronte a un nuovo metodo didattico presuppone
il passaggio da una modalità di insegnamento e apprendimento di tipo standard
con quello chiamato da Gregory Bateson ( il famoso sociologo) deutero-apprendimento.
L’insegnante, cioè, deve poter apprendere una nuova metodologia di
insegnamento. Apprendere ad apprendere una diversa realtà, una diversa visione del
mondo e perché no rivedere idee preconcette e troppo rigide. Ed è questo che
nella storia di Veronica manca. Pur di non mettersi in discussione, di non
rinnovare il loro bagaglio conoscitivo, le insegnanti preferiscono chiudere gli
occhi, lasciando la famiglia a combattere per poter garantire alla bimba una
vita sana dignitosa e per liberarla dal preconcetto di incapace. Perché
quell’etichetta appiccicata con leggerezza su ogni bambino o ragazzo diventa un
marchio indelebile fino a trasformarsi nel paradigma con cui ci approcceremo,
da adulti alla realtà. La famiglia si ritrova cosi a gestire il dolore della scoperta,
l’orrore dell’ignoranza del problema, vivendo la dislessia come una minaccia
alla felicità futura e alla stabilità emotiva della figlia e a lottare contro
un sistema ottuso e chiuso. Ecco il senso del titolo, io te e la dislessia, che
diventerà compagna silente di ogni passo, di ogni istante quasi come un’ombra
oscura. Eppure Veronica è brillante, veronica è dotata di una mente diversa si ma
non per questo meno attiva, meno produttiva e meno affascinante. Pertanto la dislessia
dovrà essere vista non come ostacolo ma come opportunità e per farlo non
serviranno soltanto leggi. Servirà e serve un diverso atteggiamento verso
l’alterità che dovrà sempre e soprattutto nella scuola, essere esaltata come
valore. Sta a tutti noi, da oggi e per sempre, dare a bambini come Veronica
l’opportunità e il diritto a essere sicuramente diversa dalle aspettative
sociali ma profondamente e autenticamente persona.
Un
libro che riesce a far riflettere, con la semplicità suadente di un racconto
pervaso d’amore come soltanto una madre può creare.
Consigliato
4/5
Nessun commento:
Posta un commento