martedì 25 ottobre 2016

Recensione "FIGLI DELLO STESSO FANGO" di Daniele Amitrano



SINOSSI

Nuova versione. Una telefonata misteriosa annuncia ad Andrea una morte di overdose. Lui, un giovane e affermato giornalista residente a Milano, decide di tornare nel suo paese dopo circa dieci anni. Il ritorno nella casa dove ha vissuto la sua adolescenza lo fa affondare nell'oscurità del tempo passato e rivivere eventi quasi del tutto dimenticati. Nel suo flashback ripercorre varie tappe: il dramma della malattia del fratello, afflitto da schizofrenia; la ricerca di una via d'uscita dalla monotonia della piccola realtà di provincia e il fascino dei ragazzi più grandi che appaiono imbattibili; la ricerca del prestigio sociale attraverso falsi miti generazionali, come la droga e la violenza; le leggi non scritte del branco. È un periodo di ribellione e di assoluta sete di libertà che induce il protagonista e i suoi amici a un escalation di eventi che li condurrà sull'orlo del baratro. Quando Andrea scopre l'identità del defunto, inizia la sua personalissima indagine. Incontrando gli amici d'infanzia, il giornalista scopre che la droga è sempre il filo conduttore degli eventi ma non è la sola protagonista che porterà all'epilogo inaspettato e drammatico.


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RECENSIONE

Scrivere e recensione a questo romanzo è uno dei lavori più difficili che mi sia capitato di eseguire. Non perché sia un romanzo scritto maldestramente, o con una struttura illeggibile. Anzi. Da un punto di vista strutturale è uno dei più perfetti. Stilisticamente è apparentemente semplice; scorrevole, elegante, con un linguaggio evocativo senza essere prolisso. Da parte mia ringrazio Daniele Amitrano soprattutto per un motivo importantissimo: avermi restituito la bellezza di analizzare un testo dalle mille sfaccettature. Non so se ci sono riuscita, ma è stato davvero incantevole provarci di nuovo. Come blogger (anche se detesto cordialmente questo termine moderno) la lettura più o meno piatta di libri sempre uguali, mai innovativi e mai originali o profondi, votati tutti alla ricerca incessante della visibilità, stanca la mente. La ottenebra e la rende quasi passiva. E’ spesso una lettura cosi inconcludente che la si affronta soltanto o con recensioni stereotipate o con schemi identici; il libro parla di questo, finisce cosi e trovare un senso un significato è cercare il cosiddetto pelo nell’uovo. E arriva Daniele. Spesso durante la lettura appunto le mie impressioni, riuscendo quasi sempre a annoiarmi conoscendo non solo l’intera struttura del romanzo ma prevedendo, come una novella Sibilla, addirittura la fine. La recensione di Daniele l’ho dovuta correggere almeno sette volte perché ogni secondo un dato, una descrizione, un elemento sconvolgeva del tutto la trama. E le inevitabili conclusioni. Ed è grazie a questo libro che il blocco del recensore è magicamente scomparso. D’altro canto Amitrano avrà la pessima nomina di colui che mi ha reso più esigente e forse più cattiva, perché ha innalzato il livello delle mie aspettative letterarie. Mi spiace ma dopo la bellezza non accetto più surrogati.
E di bellezza qua ne troviamo molta. Nonostante la storia cruda, a tratti dura c’è una notevole capacità descrittiva e lirica. Ma procediamo con ordine perché ragazzi l’analisi di questo libro va fatta in maniera ineccepibile. Se lo merita.
Innanzitutto il titolo. Spesso i titoli dei romanzi ( specie i young adult e i romance, ma noto una certa stupidità anche nei fantasy) devono la genialità dei lori titoli non tanto a descrivere il romanzo, la trama o il suo significato, quanto ad avere un immediato impatto sul pubblico. In pratica rose e fiori, cuori e elfi ma nulla che faccia presagire il vero intento dell’autore. Forse neanche lui sa che intento infondere nel suo scritto. Tranne rare eccezioni, ci si trova di fronte al solito titolone commerciale che non dice quasi nulla, se non iniziamo la sequela degli sbadigli.
Sul solo titolo ci sarebbe da creare un intero saggio. Figli dello stesso fango, non è solo evocativo, ma contiene significati altamente simbolici e reali per cui il titolo è soltanto un interessate artificio letterario per rimandare la mente a significati altri. Come in una matrioska russa si apre e si trova altro e cosi via fino a che i significati emersi si intrecciano con un invidiabile tecnica narrativa, naturale e non cercata, ch sembra essere lo stile preferito del nostro Daniele. Il fango qua è inteso come una serie infinite di bivi, di scelte e di un certo, ammettiamolo, degrado sociale incentrato sui facili percorsi, la droga) sulla volontà di potere e di una coesione apparente (la comitiva ) sulla voglia di emergere in qualsiasi modo  (la trasgressione) sulla ricerca dell’adrenalina (il sesso) e infine, sulla tremante realtà di una follia che distorce la realtà e che ingabbia, terrorizzando e letteralmente spezzando tutti coloro che vi si trovano a contatto. Il fango è la palude che sporca la coscienze ma anche il terriccio che ti ingloba e ti trascina con se incapace di rialzarti. Può essere la droga, cosi come la violenza della malavita, ma anche la malattia mentale che descritta come un qualcosa di melmoso, di vischioso impedisce di volare via e costringe a osservare la vita soltanto da uno solo punto di vista, diventando cosi alieni alla vera realtà scambiando quella misera percezione per il tutto. Ciononostante, il fango è anche un atavico simbolo di vita. Terra e acque i due elementi da cui Adamo nacque, da un solo atto creativo di volontà. Con il fango i bambini giocano, creano, imparano l’arte del manipolare (inteso come atto costruttivo). Dal fango, quindi, ci si può innalzare sicuramente diversi, e cambiati. Dipende da noi, dalle azioni, dalle scelte anche microscopiche (come il fuggire di Andrea) ma soprattutto da una capacità (non si sa se acquisita o ereditaria) di trasformare il dolore, il disagio, le limitazioni in altrettante opportunità. I protagonisti, tutti, sono figli dello stesso fango creatore e distruttore entrambi partecipi di un destino che prenderà, ahimè, direzioni diverse. C’è chi soccomberà non tanto alla legge del più forte, ma a una etichettatura che l’ambiente circostante si appiccica addosso. Come dire siamo del Sud, siamo di una città senza prospettive, siamo gente condannata, siamo e siamo ancora. In realtà noi non siamo. Noi diventiamo. Ed è la differenza acuta che emerge dalla bellissime pagine di Amitrano.
Secondo vanto del libro: le descrizioni. Trattandosi di un romanzo di formazione ma anche di sottilissima indagine psicologica, l’autore fa una straordinaria scelta: usare le descrizioni non soltanto come un abbellimento puramente estetico, ma come un aiuto per capire meglio la mente di ogni protagonista e di un’intera società. E’ attraverso questo che si inquadra la piccola città di Scauri ( e di riflesso ogni provincia) in modo più approfondito di un saggio. Gli ambienti, i paesaggi sono tutti uno straordinario riflesso dei profondi e intricati percorsi mentali di ogni protagonista, rendendo il romanzo al tempo stesso reale, ma altamente simbolico. Scauri è pertanto non una semplice cittadina di provincia del Lazio sud ma immagine di ogni piccola provincia che travalica addirittura lo spazio e non il tempo. Noia, voglia di crescere, ambizioni attutite e livellate dalla ristrettezza non soltanto economica ma anche culturale delle persone, con quell’odioso convincimento che, lo status quo non va assolutamente toccato previa la condanna all’ignoto. Questo dilemma tra voglia di evoluzione e paura del cambiamento la troviamo in ogni parte del mondo, dell’Europa, di ogni sistema culturale di ogni etnia che si rifugia nella rassicurante banalità delle proprie consuetudini. Staticità e dinamismo lottano tra loro in ognuno di noi e di riflesso in ogni ambiente che noi, creiamo. Perché Daniele lo sa e ce lo svela che è la nostra mente a creare la realtà che ci circonda, e cosi una mente malata creerà il suo opposto e cosi via, in un girotondo di immagini e sensazioni, in un reale che è solo apparentemente reale, quassi come se un Dio beffardo giocasse con noi.
Terzo elemento. I protagonisti. Non mi soffermerò sulla banale affermazione che sono personaggi vicini o a noi. Essi sono molto di più. Ognuno è un vizio, ognuno è un aspetto dell’intricata personalità umana, ognuno è uno specchio che analizza noi, i complessi rapporti, le complesse emozioni che ci travolgono e ci spiazzano, analizza l’amore svelandone i retroscena meno nobili ( il non coraggio, l’indecisione, il sesso usato come scappatoia della monotonia) svela i lati oscuri dell’amicizia regolata da canoni rigidi di apparenza e onore, a volte deridendoli, a volte mostrandoceli nudi quasi con un tono asettico. Ma Daniele non è asettico. Ci accompagna analizzare ogni sbaglio, e ogni possibilità perduta, ma, soprattutto, analizza come spesso si debba passare attraverso l’abisso per arrivare alla verità e alla conseguente realizzazione di se. E’ attraverso occhi sofferti, occhi che conoscono qualcosa di ancora più orribile che la verità risplende riportando giustizia nella fragile realtà.
Gli avvenimenti descritti sono importanti non tanto per l’azione che essi portano dentro di loro ma quanto per l’impatto emotivo profondo che lasciano, una sica che travolge il lettore che lo fa riflettere e lo sveglia quasi dal torpore. In questo romanzo finalmente si assiste a un’importante lavoro di archeologia di sentimenti e delle emozioni; l’azione non ci viene spiattellata cosi nuda e cruda ma viene scavata a fondo, fino a tirarne fuori i motivi, le radici a volte illogiche che ne stanno alla base. Li analizza i fatti, non li inserisce per una mera scenicità di impatto, per dare una coreografia a burattini insipidi ne esalta il valore viscerale e ce lo offre, come un tributo a cosa davvero la scrittura potrebbe creare. E Daniele da bravo demiurgo crea e plasma le parole, dandoci immagini che sono fotografie di una mente devastata ma anche sognante, scendendo coraggiosamente a ritroso in un uso sensazionale dell’analessi. (flashback per i profani)
E udite udite: Daniele non giustifica. Strano ma vero. Non giustifica la violenza ce la mostra, non giustifica la droga cerca di capire e di dare voce ai nostri perché, non giustifica la pazzia ma vuole affrontarle a testa alta sopportandone il peso e il carico di dolore. Facendosi portavoce di quelle voci spesso inascoltate di una società che si sta letteralmente perdendo. Delicato eppure potente nell’inserire temi decisamente scomodi, l’autore ci delizia con una storia importante a cui non lesina momenti di mirabile poesia:
“L’anima è composta da infiniti frammenti che, scossi opportunamente, cominciano a vagare impazziti, in simultanea col palpito del cuore. Tutti quegli anni lontano da casa non avevano annichilito il passato.”
E ancora:
Il ricordo delle cose importanti è come un graffito sulla parete dell’anima. Risultano inutili e maldestri i tentativi di can-cellarlo. Esso riemerge e, quando meno te lo aspetti, torna a far parte del presente.

E sull’amore:
e prime schermaglie di una storia d’amore sono una fitta rete di mosse e contromosse, di parole dette e altre taciute di proposi-to, di sguardi lanciati e altri nascosti. È un po’ come nel gioco degli scacchi: una mossa sbagliata ti fa saltare la pedina e sei fuori dalla partita.

E ancora la dolce descrizione del primo incontro:
È perfetta così agli occhi di lui. Profuma di vaniglia e di delicato Chanel. Delicato come il suo corpo, delicato come qualsiasi cosa le appartenga. Più si avvicina e più Andrea non capisce niente, non sa né cosa fare né cosa dire. Il suo passo risuona nell’aria come una melodia di Chopin e il mare, lontano, in fondo a via Golfo, sembra sobbalzare. Tutto il mondo si spegne mentre s’accende la sua immagine, s’ingrandisce, copre totalmente l’orizzonte davanti ai suoi occhi.

Questo è il vero autentico e puro romanzo di formazione.  Spesso un autore piazza le descrizioni senza capirne l’impatto emotivo. Sono dei giganteschi giri di paroloni intrecciati a sinonimi con una vaga pretesa di poeticità. Ma sono statiche, immobili sono quasi banale nella loro ricerca della maestosità. Qua non si assiste a nulla del genere, Qua c’è un protagonista che affronta a ritroso il suo successo non tanto sociale quanto umano. Ed è questo il bello del libro. A Daniele non interessa raccontare una storia di evasione, non interessa risaltare il valore sociale del self made man. A Daniele interessa raccontare il valore umano di ciascuno, sia chi risale sia chi resta nel fango. Fino al geniale e incredibile epilogo finale….
Un romanzo che consiglio a tutti che premio a pieni voti per aver finalmente spezzato con coraggio la litania di scrittucoli senza senso e senza arte. Perfetto


di Alessandra Micheli

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