E’ molto strano leggere un libro cosi complicato,
non tanto per la storia quanto per le tematiche affrontate, da parte di un autrice
cosi giovane. La scelta di ambientare
una storia, quasi comune banale forse, in una terra devastata, complicata
spettatrice di scontri e di lotte politico religiose, è stata una scelta
coraggiosa e forse un po’ folle, di quella follia che caratterizza i giovani.
Ma significa molto per chi legge. Significa che, tramite un amore ostacolato la
Tiezzi è in grado di fotografare dei sentimenti che, esulano dal semplice
percorso in amore e che si colorano di problematiche più profonde, più oserei
dire inquietanti. Camila non è una ragazza come tutte. Apparentemente si. Ha le
stesse inquietudini, gli stessi sogni, la stessa capacità di amare di una sua
coetanea. Ma è nata in una terra che, ce lo descrive perfettamente Soraya,
subisce un cambiamento radicale e brutale. Da paradiso, da terra in cuoi ancora
volavano gli aquiloni, in cui si cantava per le strade, ricca di colori, odori
e sapori antichi, ricca di vita e di meraviglia, di stupore e di un liricismo
poetico ( basti pensare alla meravigliosa raccolta delle mille e una notte)
diventa un deserto di aridità sia fuori nella società che dentro le persone.
Non si canta più a Kabul. Le donne non fanno galleggiare in quell’aria cosi
profumata lunghi capelli bruni. Non mostrano più occhi ridenti e un volto cotto
dal sole. Gesti forse per noi scontati e quasi banali, ma che in quella terra
segnano l’arrivo di un inverno dell’animo che sembra non finire mai.
Accanto alle bombe dell’invasione russa del 1978,
Camila conosce l’orrore della dittatura. Una dittatura peggiore di quelle mai
viste perché, religiosa. Dettata da precetti incomprensibili, assurdi e inumani.
E lei, rea di essere donna si trova invischiata in un matrimonio di
costrizione. Non per garantirsi una vita migliore. Semplicemente perché il
passaggio dei talebani toglie alla donna il diritto di essere soggetto. Ma solo
oggetto. Di piacere, atto alla riproduzione, al sollazzo ma inesistente. Camila
come ogni altra donna rischia di svanire nell’oblio di una ipocrisia, di un
bigottismo cieco e crudele. E leggere la sua sofferenza ci lascia basiti.
Sconvolti proprio perché causato da persone che usano la religione come catena
per rendere schiavi e feroci gli uomini. Usando la loro volontà di essere
liberi dall’invasione sovietica, aiutati dagli americani convinti che, armando
una banda di esaltati, avrebbero combattuto la loro guerra fredda vincendola. A
scapito di esseri umani. Sconvolge perché la religione, un termine che
significa legame che identifica la modalità con cui questo legame tra noi e l’energia
chiamata dio , utile per rapportarci con l’universo e esistere, esistere al
meglio della nostra forma viene usato per uccidere quell’anima che è il vero,
unico legame tra noi e Dio. Camila lo dice chiaro: Allah ci ha abbandonato.
Allah ossia Dio ha lasciato quella terra, i cuori e reso gli umani soli.
Perdere Dio equivale a annientare la parte più profonda di noi stessi, perché Dio
è qualcosa che ha a che fare con la coscienza, con la consapevolezza di un
confine tra ciò che è bene e ciò che è male. Ci sembra cosi scontato? Camila ce
lo mostra non è scontato. Dio è qualcosa che esula dalle leggi umane, dai
precetti umani di carattere finto religioso. Dio è il motore che ci spinge a
crescere, a meravigliarci a evolverci a sognare. Lo si ritrova negli occhi
innocenti dei bambini e dei loro sogni, quei figli che Camila difende come
unica speranza ancora in vita di una redenzione a cui deve poter credere. E’
grazie agli occhi limpidi di sua figlia che uno di loro, ritrova il suo vero
volto. E torna a casa. E’ grazie ai suo figli che Camila non cede, combatte
sopporta ma non con sottomissione, ma con fierezza andando spontaneamente e a testa
alta ad affrontare il suo aguzzino.
Leggendo quelle pagine non posso non pensare a mille
libri in cui molte scrittrici inneggiamo alla sottomissione come valore. Mentre
chi ha una vita piena di possibilità, con diritti garantiti, si rifugia in
sogni malsani. Perché in fondo se non il totale rispetto noi donne occidentali
abbiamo la consapevolezza che quel rispetto è doveroso. Abbiamo comunque strumenti
per poterci garantire quel rispetto. Abbiamo la possibilità di innescare una
condanna sociale se quel rispetto ci viene negato. Possiamo scendere per le
strade e cantare, possiamo creare studiare, sognare, scegliere anche sbagliando
chi amare. Possiamo camminare a viso scoperto con i capelli sciolti sulle
spalle che ondeggiano al vento. Eppure ci rifugiamo in fantasia di sottomissione,
di quasi violenza. Offendendo quelle donne che, come Camila lottano ogni santo
giorno per poter far sentire la loro voce.
Per questo il libro della Tiezzi è importante. Va
letto. Va fatto leggere alle ragazzine, alle bambine alle adolescenti a ogni
donna. Va letto e ci si deve commuovere sopra. Va assorbito in ogni parola e se
ci farà nascere un senso di ribellione, di rabbia e perché no di un po’ di
vergogna, Soraya avrà ottenuto il migliore dei risultati: quello di risvegliare
le coscienze.
Poetico, delicato, intenso invito ognuno di voi a
fermarsi a guarda le stelle luminose non solo del cielo di Kabul ma del nostro
stesso cielo, del cielo di ogni paese e nazione, perché come dicevano i saggi
arabi, il cielo può indicarci la via per arrivare a Dio.
Voto
5/5
Micheli Alessandra
Micheli Alessandra
Fantastica recensione e non poteva essere diversamente visto che il libro, che io sto leggendo, è davvero bello. Sono d'accordo su tutto anche e soprattutto sull'ultimo appunto che riguarda le donne occidentali che cercano amori impossibili e dolorosi per riempire il vuoto che colma l'anima senza aspettarsi che l'amore vero esiste.
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