giovedì 8 dicembre 2016

RECENSIONE LUMINOSE STELLE SUL CIELO DI KABUL. DI SORAYA TIEZZI




E’ molto strano leggere un libro cosi complicato, non tanto per la storia quanto per le tematiche affrontate, da parte di un autrice cosi giovane.  La scelta di ambientare una storia, quasi comune banale forse, in una terra devastata, complicata spettatrice di scontri e di lotte politico religiose, è stata una scelta coraggiosa e forse un po’ folle, di quella follia che caratterizza i giovani. Ma significa molto per chi legge. Significa che, tramite un amore ostacolato la Tiezzi è in grado di fotografare dei sentimenti che, esulano dal semplice percorso in amore e che si colorano di problematiche più profonde, più oserei dire inquietanti. Camila non è una ragazza come tutte. Apparentemente si. Ha le stesse inquietudini, gli stessi sogni, la stessa capacità di amare di una sua coetanea. Ma è nata in una terra che, ce lo descrive perfettamente Soraya, subisce un cambiamento radicale e brutale. Da paradiso, da terra in cuoi ancora volavano gli aquiloni, in cui si cantava per le strade, ricca di colori, odori e sapori antichi, ricca di vita e di meraviglia, di stupore e di un liricismo poetico ( basti pensare alla meravigliosa raccolta delle mille e una notte) diventa un deserto di aridità sia fuori nella società che dentro le persone. Non si canta più a Kabul. Le donne non fanno galleggiare in quell’aria cosi profumata lunghi capelli bruni. Non mostrano più occhi ridenti e un volto cotto dal sole. Gesti forse per noi scontati e quasi banali, ma che in quella terra segnano l’arrivo di un inverno dell’animo che sembra non finire mai.
Accanto alle bombe dell’invasione russa del 1978, Camila conosce l’orrore della dittatura. Una dittatura peggiore di quelle mai viste perché, religiosa. Dettata da precetti incomprensibili, assurdi e inumani. E lei, rea di essere donna si trova invischiata in un matrimonio di costrizione. Non per garantirsi una vita migliore. Semplicemente perché il passaggio dei talebani toglie alla donna il diritto di essere soggetto. Ma solo oggetto. Di piacere, atto alla riproduzione, al sollazzo ma inesistente. Camila come ogni altra donna rischia di svanire nell’oblio di una ipocrisia, di un bigottismo cieco e crudele. E leggere la sua sofferenza ci lascia basiti. Sconvolti proprio perché causato da persone che usano la religione come catena per rendere schiavi e feroci gli uomini. Usando la loro volontà di essere liberi dall’invasione sovietica, aiutati dagli americani convinti che, armando una banda di esaltati, avrebbero combattuto la loro guerra fredda vincendola. A scapito di esseri umani. Sconvolge perché la religione, un termine che significa legame che identifica la modalità con cui questo legame tra noi e l’energia chiamata dio , utile per rapportarci con l’universo e esistere, esistere al meglio della nostra forma viene usato per uccidere quell’anima che è il vero, unico legame tra noi e Dio. Camila lo dice chiaro: Allah ci ha abbandonato. Allah ossia Dio ha lasciato quella terra, i cuori e reso gli umani soli. Perdere Dio equivale a annientare la parte più profonda di noi stessi, perché Dio è qualcosa che ha a che fare con la coscienza, con la consapevolezza di un confine tra ciò che è bene e ciò che è male. Ci sembra cosi scontato? Camila ce lo mostra non è scontato. Dio è qualcosa che esula dalle leggi umane, dai precetti umani di carattere finto religioso. Dio è il motore che ci spinge a crescere, a meravigliarci a evolverci a sognare. Lo si ritrova negli occhi innocenti dei bambini e dei loro sogni, quei figli che Camila difende come unica speranza ancora in vita di una redenzione a cui deve poter credere. E’ grazie agli occhi limpidi di sua figlia che uno di loro, ritrova il suo vero volto. E torna a casa. E’ grazie ai suo figli che Camila non cede, combatte sopporta ma non con sottomissione, ma con fierezza andando spontaneamente e a testa alta ad affrontare il suo aguzzino.
Leggendo quelle pagine non posso non pensare a mille libri in cui molte scrittrici inneggiamo alla sottomissione come valore. Mentre chi ha una vita piena di possibilità, con diritti garantiti, si rifugia in sogni malsani. Perché in fondo se non il totale rispetto noi donne occidentali abbiamo la consapevolezza che quel rispetto è doveroso. Abbiamo comunque strumenti per poterci garantire quel rispetto. Abbiamo la possibilità di innescare una condanna sociale se quel rispetto ci viene negato. Possiamo scendere per le strade e cantare, possiamo creare studiare, sognare, scegliere anche sbagliando chi amare. Possiamo camminare a viso scoperto con i capelli sciolti sulle spalle che ondeggiano al vento. Eppure ci rifugiamo in fantasia di sottomissione, di quasi violenza. Offendendo quelle donne che, come Camila lottano ogni santo giorno per poter far sentire la loro voce.
Per questo il libro della Tiezzi è importante. Va letto. Va fatto leggere alle ragazzine, alle bambine alle adolescenti a ogni donna. Va letto e ci si deve commuovere sopra. Va assorbito in ogni parola e se ci farà nascere un senso di ribellione, di rabbia e perché no di un po’ di vergogna, Soraya avrà ottenuto il migliore dei risultati: quello di risvegliare le coscienze.
Poetico, delicato, intenso invito ognuno di voi a fermarsi a guarda le stelle luminose non solo del cielo di Kabul ma del nostro stesso cielo, del cielo di ogni paese e nazione, perché come dicevano i saggi arabi, il cielo può indicarci la via per arrivare a Dio.

Voto
5/5

Micheli Alessandra

1 commento:

  1. Fantastica recensione e non poteva essere diversamente visto che il libro, che io sto leggendo, è davvero bello. Sono d'accordo su tutto anche e soprattutto sull'ultimo appunto che riguarda le donne occidentali che cercano amori impossibili e dolorosi per riempire il vuoto che colma l'anima senza aspettarsi che l'amore vero esiste.

    RispondiElimina