SINOSSI
Telemaco, uno dei protagonisti, è un bibliotecario affetto dal disturbo dissociativo della personalità, prigioniero di una vita anonima. Per evadere dalla sua monotonia, tenta di uccidere la moglie avvelenando il suo latte e progetta di incendiare il castello dove lavora. Egli ha già descritto tutto in un romanzo su cui, con l'incendio, spera di riaccendere l'interesse generale.
Lo psichiatra presso cui è in cura gli ingiunge di tenere dei diari per combattere le sue amnesie che inghiottono intere fette del suo passato, tra le cui macerie scava invano il professore. Periodicamente, le personalità di Telemaco prendono il controllo delle sue azioni. Il professore indaga anche su Giada, la sorella di Telemaco menzionata nei suoi diari scomparsa all'epoca del loro amplesso incestuoso, che ha portato il loro padre al suicidio. Ogni tanto Telemaco parla al professore di un uomo misterioso, che comparirà altrove nel romanzo.
Il professore inizia a sospettare di tutti i personaggi menzionati nei diari e nelle insolite sedute terapeutiche a distanza, per cui chiede a Telemaco continue prove della loro esistenza. Telemaco è riluttante, sembra fuggire dal proprio passato e, come l'omonimo figlio d'Ulisse, si ostina nella ricerca del padre perduto. In realtà, la sua è solo una ricerca di se stesso. In tale viaggio, comparirà una giovane laureanda che si innamorerà perdutamente di lui e che sembrerà provenire dal suo passato, insieme al suo figlio cieco, Boris, che pare vedere con sensi nascosti ai nostri sensi ordinari. Una minaccia oscura, portata dall'uomo senza nome, incombe su tutti i personaggi, che proveranno a salvarsi ciascuno a modo suo. I libri, in ogni caso, sembrano avere un destino segnato nel marchio del fuoco.
Sono solo io.
E questa è la storia di uno strano.
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INTERVISTA
1.
Com'è nata l'idea del tuo libro? Da cosa hai preso spunto per strutturare la
trama?
C'è
stato un momento preciso: avevo già una vaga idea di scrivere la storia di un
bibliotecario: ma una sera, a un incontro tra blogger, conobbi il responsabile
presso l'archivio storico della Biblioteca Civica di Fossano che fu la mia
"svolta": mi invitò a visitare il suo ufficio che si trova nel
Castello degli Acaja e grazie a questo incontro e alle meraviglie che mi fece
vedere (libri del 1300, bibbie con incisioni uniche, etcc.), l'idea si radicò
in me e prese forma.
Per
la struttura della trama ho preso spunto da un libro di Ishiguro che mi ha
emozionato molto: "Gli inconsolabili", in cui il flusso degli eventi
trascina il lettore in lunghi excursus tra i personaggi, i tempi e le emozioni.
In un secondo momento, ho "infarcito" la trama di ulteriori fili,
sviluppando un nuovo personaggio, lo psichiatra, che nonostante la sua nascita
"tardiva" nella storia, poi ha finito per assumere un ruolo chiave e,
soprattutto, uno dei fulcri su cui si impernia l'intera trama.
2.
Parlaci un pò dei personaggi. Come sono nati e se c'è uno preferito o che ti
rappresenta di più
Personaggi
ce ne sono molti, quasi tutti nati per gemmazione dal protagonista, Telemaco
(tranne il prof. Munch, nato in un secondo momento). Non che gli somiglino
tutti, anzi, ma sono un poco "figli" suoi, perché le loro personalità
sono scaturite dalle vicende di Telemaco che avevo in mente, man mano che le
trasponevo su carta.
I
personaggi che amo di più sono in primis Telemaco, ovviamente, essendo il
protagonista; di me non c'è assolutamente nulla in lui, solo l'amore per i
libri, anche se nel suo caso è un amore-odio. Ha i piedi deformi, è cinico,
pensa solo ad uccidere la moglie e a portarsi a letto la giovane laureanda che
si è innamorata di lui. L'antieroe per eccellenza, direi.
Poi
c'è Mike, il proprietario di un bar, omaccione di 2 metri, tutto muscoli e
stoffa ruvida, moto e donne sono la sua unica occupazione. Nonostante la sua
tempra d'acciaio, si scioglie per il suo nipotino Boris, un bambino eccezionale
(di cui si scopriranno molte cose nel prossimo romanzo...) affetto da visione
cieca, una malattia molto particolare di chi ha l'organo visivo perfettamente
funzionante, ma ciononostante è cieco per lesioni alla corteccia cerebrale. E
Boris è sicuramente uno dei miei preferiti, un diverso, emarginato, abbandonato
dal padre che non ricorda neppure lui chi sia, orgoglioso, piuttosto che accettare
gli ausili per non-vedenti si farebbe investire da un'auto. Un altro diverso, e
mio adorato personaggio, è Zia Mafalda (ispirato a Mafalda Serrecchia, benchè
temo abbia poco in comune con lei): il personaggio scrive poesie (come la
Serrecchia!) che sotterra nel suo giardino, vive in una casa decrepita, viaggia
sugli autobus da capolinea a capolinea senza andare da nessuna parte, si mette
al finestrino solo per sommare i numeri delle targhe. Avrà un ruolo chiave e
con i suoi incubi guiderà Telemaco alla ricerca della sorella rapita da uno
strano personaggio...
3.
Quanto di te c'è nel libro? E' solo un opera di fantasia o scaturisce da
emozioni o esperienze personali?
Nel
mio primo libro c'era tutto, era una sorte di biografia! In questo secondo, invece,
non c'è nulla, tranne alcune emozioni, alcune suggestioni, l'amore per la
natura, i ciliegi, i fiori, i libri. Le uniche cose "vere" sono le
ambientazioni nella città di Fossano, non a caso il Comune di tale città mi ha
onorato del suo patrocinio. Inoltre, il 16 dicembre presento il romanzo proprio
nel Castello di Fossano in cui è ambientato, siete tutti invitati! Per il
resto, direi che no, non ci sono esperienze personali "trasposte" nel
libro... temo di non avere una vita così interessante!
4.
Che tipo di letture ti hanno influenzato e quale libro ti rappresenta di più?
Le
letture che più mi hanno influenzato sono state quelle dei miei autori
"preferiti", di cui ho provato a leggere l'opera omnia: primo tra
tutti Mark Twain, con la sua ironia sottilissima, Ernest Hemingway, con i suoi
periodi brevissimi e il ritmo serrato, Stephen King con cui credo ogni
scrittore dovrebbe "misurarsi", volente o nolente, John Fante e la
sua vena malinconica spiazzante, e poi Yukio Mishima con la sua profondità e
tanto Laurence Sterne, con la sua meta-narrazione che mi ha spinto a esplorare
nuovi modi comunicativi del romanzo, come ad esempio i giochi matematici
nascosti nella numerazione dei capitoli del mio primo romanzo, o il finale de
Sono solo io...
5.
Qual'è secondo te il segreto per scrivere bei libri?
Non
ho segreti da svelare, a dire il vero! Anzi, vorrei qualcuno li svelasse a
me... io so solo che scrivo da tempo immemore e che la mia
"necessità" di esprimermi in parole è sempre fluita in modo
ininterrotto, benchè solo di recente io abbia deciso di provarci con un
romanzo. Credo comunque nella lettura come prima scuola di scrittura: ecco, per
il mio caso, direi che leggere mi ha insegnato tantissimo. Non so se sia
sufficiente per essere un buon romanziere, questo lo dirà il tempo e il
pubblico!
6.
Quanto conta la struttura narrativa nel tuo romanzo ossia la sintassi, la grammatica lo stile e la leggerezza.
Direi
tutto! Oltre la sintassi, la grammatica, lo stile e la leggerezza di cui
parlava Calvino, cos'altro può mai esserci? Ah sì, la musicalità! Io ascolto il
suono di ciò che scrivo, e lo modifico se non mi "suona" bene. Credo
che sia importante per il lettore coccolare anche il suo senso estetico, ma
forse ciò fa parte dello stile. La grammatica, poi, è il tuo biglietto da
visita: commettere errori, sbagliare apostrofi, accenti, anche la
punteggiatura, è autolesionistico! Al lettore può sfuggire se magari sbagli una
nozione ipertecnica sulla meccanica quantistica, ma difficilmente ti perdona un
"puo" senza apocope o, peggio, con l'accento sbagliato. E' la prima
cosa che vede un lettore, un po' (eh, occhio!) come un vestito: se vuoi far
colpo sul tuo interlocutore con la tua cultura, è molto più dura se indossi una
camicia macchiata e i capelli sporchi e la forfora sulle spalle della giacca,
no? Ecco, curare la grammatica è come spolverarsi la forfora prima di uscire:
non è sufficiente a scrivere un buon libro, ma sicuramente è necessario!
La
leggerezza, poi, è un concetto che nelle lezioni americane di Calvino è
espresso in un modo brillante che non saprei sintetizzare... diciamo che la
pesantezza, l'orpello, i tre aggettivi messi in fila (un antico, patinato e
malandato mobile d'altri tempi..., ad es!), hanno solo un effetto controproducente,
ma d'altro canto la leggerezza che ti fa planare sulle cose poco lievi è un
risultato a cui si tende senza mai centrarla poi del tutto! I giapponesi, in
questo, hanno tanto da insegnarci.
7.
C’è un libro a cui sei particolarmente legato?
L'ultimo
Azteco di Gary Jennings, quanto ad emozioni: è un libro che ho amato e che amo
alla follia, pieno di sentimenti e storia Azteca, un mix esplosivo! Invece,
quanto a "scrittura", sicuramente Vita e Opinioni di Tristram Shandy,
gentiluomo, del genio Laurence Sterne. Il suo rompere con millenni di regole
non scritte riguardo alla scrittura, mi ha reso molto ardito nelle mie
costruzioni. Entrambi i miei libri, mi sia consentito un atto di vanità,
contengono novità narrative, elementi di rottura con le regole "classiche"
che rendono entrambi i romanzi quantomeno originali. Poi c'è anche tanta
spazzatura originale, eh! Non dico siano due capolavori, ma io li definisco
"onesti", non rubano il tempo al lettore senza lasciare nulla in
cambio: quantomeno, offrono un'esperienza nuova. Che sia degna oppure no,
questo solo ogni singolo lettore può dirlo!
Grazie di cuore! E' stata una bellissima esperienza, il vostro gruppo è very coooool!
RispondiEliminaMeravigliosa intervista!
RispondiEliminaGrazie Giorgia! :-D
EliminaGrazie a te!
RispondiEliminaDomande perfette per far uscire l'anima del romanzo e avere informazioni più dettagliate sull'autore!
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