giovedì 3 novembre 2016

Recensione "LA COMMEDIA DEI PAZZI" di Marco Pennella (LETTERE ANIMATE)




SINOSSI

La commedia dei pazzi narra del viaggio di Dante Corazzesi, giovane laureato in psicologia che vive in un presente immaginario dove la legge Basaglia non è mai stata proposta. Questo ha permesso ai manicomi di espandersi incontrastati, dando vita al C.D.M. ( Centro di depurazione mentale ). Dante si ritroverà catapultato nella sede più spaventosa, quella di Firenze, dove padiglione dopo padiglione scoprirà i metodi utilizzati per curare la psiche dei soggetti definiti ‘’ pazzi ‘’. La situazione però non è destinata a restar critica: alcunzi pazienti, infatti, hanno messo su un organizzazione, la Resilienza, per provare a combattere il C.D.M. dall’interno. Ma anche il Primario della clinica ha le sue carte da giocare, il più astuto e spietato criminologo italiano: il dott. Virgilio Guidi.



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RECENSIONE


Il fascino di questo libro si evidenzia in due fondamentali elementi: il coraggio e la geniale riflessione sulla divina commedia.
 Il primo elemento che desidero analizzate, è quello che personalmente considero il  più importante ossia il coraggio. Pennella, infatti,  affronta il tema della pazzia, del terrore che la società avverte nei confronti delle distorsioni mentali ma soprattutto di come essere vengano percepite e tradotte in una sorta di anatema comunitario. Letta in  questo senso, la pazzia non è altro che disapprovazione di comportamenti ritenuti fuori dal normale, con tutto il bagaglio ontologico che la definizione di normalità porta con se. Coraggio perché il tema della follia proprio per la sua definizione nebulosa, al confine con perbenismo e scienza non è affrontato spesso dagli autori italiani. Ho letto libri come il bellissimo la Strada di Santiago, o eccellenze come la Psichiatra di Wolf Durne, ma quasi mai autori nostrani. Questo perché la follia è poco conosciuta in Italia. Badate bene siamo un paese di folli, un paese dedito al culto degli stereotipi e della facile morale preconfezionata, poco elastica di fronte al tema del libero arbitrio. Pur avendo eccellenze nel campo della psicologia e della psichiatria, soffriamo di una sorta di autoritarismo del pensiero che divide in modo rigido tra normalità e anormalità. I concetti sono cosi sfumati, cosi labili che è impossibile definirli in categorie rigide. Cos’è la normalità? La normalità è la consuetudine portata all’estreme conseguenze. Ce la spiega mirabilmente l’autore con una spiegazione surreale ma calzante:
“In pratica è come se coloro che mangiano pasta al sugo dessero la caccia a chi mangia la pasta con il formaggio, definendo questa tendenza del formaggio la malattia da combattere”
Le persone diverse, originali, con una sessualità diversa o con un diverso modo di concepire il mondo sono perseguitati in nome della difesa della comunità, come se la malattia fosse il terrorismo da combattere per preservare lo status quò:
Vendono terrore, dall'altra parte dello schermo scatta la paranoia, la paura, e così la caccia a noi ' pazzi '' non avrà mai fine. Il terrorismo mediatico ha sempre funzionato! Il caro, vecchio, Welles aveva ragione! Basta una fonte che sembri sicura, una notizia falsa montata come se fosse vera, un pizzico di paura: ed ecco, un proiettile magico spara nella testa di un'intera popolazione.”

Quindi la creazione del nemico, del diverso serve, o si è convinti possa servire per delimitare confini tra noi e l’altro in difesa della staticità, della consuetudine tramutata in legge e per la sopravvivenza della cultura di riferimento. Peccato che una cultura messa in sicurezza con muri, confini, imposizioni, senza che sia rinnovata e rigenerata da energie creative, quelle cosi temute, diventa cosi stagnante da essere soffocata fino a morirne. Quello che si preserva è semplicemente un fantasma irreale di una rigidità in un sistema, sociale, in continuo mutamento evolutivo. Perché la società facente parte di una costruzione umana, e l’uno facente parte di una complessa unità biologica vivono e sopravvivono attraverso l’informazione che genera cambiamento adattandosi ai diversi stimoli dell’ambiente anch’esso soggetto a evoluzione.
Cosa significa in questo contesto di perenne lotta tra evoluzione e staticità la follia?
Se definiamo la follia come disordine mentale, dobbiamo tenere a mente cosa sia il disordine. Riprendo a tal proposito una frase di Gregory Bateson, anch’esso psicologo, che definiva cosi il disordine/ordine:
Se ordinato significa, per me, una cosa speciale certi ordini degli altri mi sembreranno disordini….
Ed è in pratica la stessa definizione dataci da Pannella con lo straordinario dialogo tra un’ospite del manicomio e il protagonista sui gusti alimentari. L’autore ci fa riflettere attraverso quest’onirica avventura sul significato reale di follia e su come essa sia un alibi per definire, categorizzare quello che a noi risulta diverso, estraneo e incomprensibile. Non tutto è vera distorsione della mente, non tutto è malattia mentale; spesso la follia è semplicemente creatività e arte, o un eccentrico modo di indagare i rapporti con l’altro o con il mondo. E’ eccentrico perché ci risulta straniero, ci risulta ostico da comprendere in quanto differenza dal nostro modo di percepire il reale. Ma è nella differenza che si cela il mistero della comunicazione. Senza differenze che veicolano informazioni non si avrebbe cambiamento né dialogo. Se fossimo tutti simili, stereotipati non esisterebbero relazioni. Anche nella biologia è la differenza, ossia l’informazione di una differenza a scatenare il processo biologico, è l’informazione di una differenza che scatena la reazione difensiva di un organismo, è la differenza del DNA che ci rende esseri umani.
La follia psichiatrica non può essere definita come le diverse modalità con cui l’umano si approccia al reale, ma come una completa alienazione dal reale in cui esiste l’assenza di emozionalità. Non è pazzo l’artista che vede le forme in un’ottica simbolica, non è lo scrittore che immagina e crea mondi altri, non è l’omosessuale che decide di amare in modo libero. Questi sono gli eretici che il sistema deve combattere per rimanere com’è. E gli eretici chi sono? Coloro che in barba a un sistema autocratico scelgono.
La lotta che si presenta cruda e farneticante in questo testo è la classica lotta di sopraffazione della specie, in cui parti di uno stesso organismo, in questo caso quello sociale si rivoltano uno contro l’altro, in un inquietante gioco di potere. Tanto che, il medico, colui che è investito della sacra missione di salvaguardare la salute, mentale, fisica e emotiva di una comunità diventa il mostro da combattere. Cosi spaventato e non incuriosito dalla follia, dopo aver guardato il baratro diventa parte dell’abisso più mostruoso del demone che intendeva combattere.
La legge Basaglia descritta in questo testo esiste davvero. E’ la legge che impose, sulla sica della teoria di uno psichiatra  Thomas Szasz, la chiusura delle strutture sanitarie definite manicomi. Questo perché i manicomi erano connotati come luoghi di contenimento sociale dove l’intervento riabilitativo e terapeutico risentiva delle limitazioni di un impostazione clinica e aggiungo io, intellettuale, che li considerava come elementi di disturbo. Evidentemente questa concezione imponeva un atteggiamento freddo, distaccato se non crudele cosi come avviene nel romanzo. Perché seppur sembra che ne libro di Pennella esistano esagerazioni, tortura accanimenti terapeutici, vessazioni, capitavano spesso( non oso dire sempre) in quei luoghi oscuri. Sin dall’ottocento agli anni 70, i manicomi erano dei veri e propri lager dove il personale creava un dominio personale, fatto poco spesso di umanità e molto di terrore, un terrore che si combatteva con la crudeltà. Ed è la crudeltà più che la comprensione a far da sfondo a questo inquietante paesaggio, cosi vivo nella memoria e cosi reale se si segue la cronaca.
Secondo elemento. Las presenza di una rielaborazione della divina commedia. La commedia dei pazzi è questo, un viaggio dantesco attraverso i gironi dell’inferno della degradazione della professione medica fino alla liberazione finale. Stupiti? Eppure il libro fondante la cultura italiana non è che un allegoria di un viaggio interiore verso la realizzazione di se. Perché accostarla alla follia? Perché in fondo, il famoso viaggio di Dante non è che un delirio. Il sommo poeta di ritrova catapultato nella selva oscura che non è altro che un fantasmagorico simboli della nostra interiorità, di quel luogo oscuro sede di vizi e virtù chiamato inconscio. Ed è nell’inconscio che ritroviamo l fiere, i demoni, i vizi, in cui la salvezza la si può ritrovare nella forme di un Virgilo/ coscienza capace di fare ordine in quel marasma di figure spesso terrori fiche. Il viaggio di Dante è il viaggio personale alla ricerca del vero sé, ed è anche il viaggio di redenzione di un intera umanità alla ricerca non tanto di Dio, quanto della conoscenza, dell’illuminazione e perché no della perfezione. Ed è nella follia, simboleggiata dalla perdita della strada, della direzione da seguire, di quella coscienza che spesso è cosi eterea da non essere percepita che si inizia. Tutti noi siamo Dante. Che ci si ritrova a fare i conti con un avventura mitologia attraverso vizi, ( inferno) le espiazioni ( incontro con la coscienza) e la rinascita ( l’arrivo nel paradiso) o che sia l’avventura dell’altro Dante, dove da novello psicologo si imbatte nel labirintico mondo della psichiatria, con le sue orride distorsioni, la consapevolezza della crudeltà sociale, prima che medica, per ritrovare la forza di uscirne e di denunciare,siamo tutti alle prese con la difficile risposta al quesito millenario della sfinge: cos’è l’uomo?
Pennella ce lo racconta come un incredibile complessa creatura, sospesa tra abisso e paradiso. Ed è quella la bellezza poetica che vi invito a scoprire immergendovi in quel mondo delirante ma non per questo meno reale.

Consigliato.

di Alessandra Micheli

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